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TRIONFA LA CARMEN IN ALTALENA A SPOLETO

  • Francesco Fornarelli
  • 25 set 2017
  • Tempo di lettura: 2 min

E’ andata in scena il 22 settembre la prima della Carmen di Bizet al Teatro Nuovo di Spoleto nell’allestimento di Stefano Monti e sotto la direzione del Maestro Laurent Campellone. Diciamo subito che è stato un grande successo che il pubblico non ha mancato di sottolineare sia durante che alla fine della rappresentazione premiando le scelte artistiche dei Maestri Zurletti e Lepore. Teatro pressochè esaurito ed una temperatura emotiva esplosa nelle chiamate al proscenio finali con tanti occhi lucidi ad esprimere un coinvolgimento sincero e spontaneo per quanto trasmesso da buca e palcoscenico. L’allestimento di Stefano Monti dimostra come la sensibilità del regista è di mettersi al servizio della musica e del libretto senza stravolgimenti ma con pochi segni asciutti e non invasivi di creatività qui racchiusi nell’idea dell’altalena che domina il centro del palcoscenico a sottolineare il fluire, l’andare e venire dei sentimenti e della vita. Intento riuscito anche merito alla sensibilità interpretativa di alcuni degli artisti in scena. La direzione musicale del Maestro Laurent Campellone, uno specialista del repertorio francese, rende pienamente merito all’intenzione musicale di Bizet. I colori giusti ci sono tutti ed il pathos è servito a beneficio innanzitutto dei cantanti, almeno di quelli che lo sanno seguire ed assecondare. Il cast molto giovane nel suo insieme come tradizione negli allestimenti dello Sperimentale Belli presenta belle luci e qualche ombra. La Carmen di Rachele Raggiotti è tutto sommato convincente scenicamente e vocalmente maturando una migliore gestione delle risorse vocali nello sviluppo dell’opera. Per la Micaela di Maria Ragalà valgono più o meno le stesse considerazioni qui con l’auspicio di un utilizzo maggiore di piani e pianissimi a sottolineare la dolcezza e l’innocenza del personaggio. L’Escamillo di Zihao Lin si fa apprezzare per eleganza e bel timbro brunito. Il materiale c’è tutto per una maturazione del personaggio. Il don Josè di Max Jota rende giustizia alla visione di Merimèe del personaggio che è il vero protagonista della storia. Dallo stranimento ed impaccio volutamente resi nel primo atto fino alla coscienza di sé nell’aria de “La fleur” è poi un crescendo nel disegnare la discesa agli inferi tra i reietti, con acuti sicuri e pieni ed omogeneità nei registri a sottolineare come l’altalena della vita preveda anche gli abissi della dignità umana. La Mercedes e la Frasquita di Noemi Umani e Zdislava Bochovà assolvono con diligenza il loro compito. Buone la prove di Luca Micheli Dancaire, Alessandro Fiocchetti Remendado, Paolo Ciavarelli Morales e Giordano Farina Zuniga. Del coro va reso merito soprattutto alla parte maschile encomiabile nella varietà di colori e nella precisione di esecuzione. Un grande successo e la dimostrazione che la “provincia” con tanti sforzi ed intelligenza pur nella limitazione di mezzi endogena non ha nulla da invidiare al gran mondo dei teatri del circuito principale.

 
 
 

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